TRAMM > Blog > STORIE DI PAURA

STORIE DI PAURA

Buon Rodaridì a tutti!
Anche oggi potete votare la storia che preferite accedendo a questo link: Storie di Paura

La storia che riceverà più voti, venerdì verrà premiata.  Non perdiamo altro tempo: le votazioni sono aperte solo per oggi, lunedì 1° giugno!


RODARIDÌ
 

 

UNA NOTTE IN-SOLITA(RIA)
Rebecca è arrabbiata. Vorrebbe urlare, ma non può. Ha bisogno di spazio, di aria. Prende di corsa la sacca indiana, ci infila una felpa, mette ai piedi gli anfibi, ed esce sbattendo la porta alle sue spalle. “Dannazione, le chiavi della macchina”. Si incammina per il sentiero dietro casa, quello che per lei è stato teatro di corse da bambina, di scorrazzate con gli amici, di fughe con il ragazzino, di camminate solitarie. Conosce quel percorso di sassi e terriccio come se fosse il tappeto di camera sua. Un piede e poi l’altro, i muscoli delle gambe in tensione, il fiato che si fa corto man mano che la salita diventa più ripida. Il silenzio, interrotto dal suo ansimare. La caviglia messa male per la fretta di salire, -Ahi-…..lì può parlare, li può gridare. -Ahiaaaaa-….la potenza del suono, la potenza della sua voce. Il passo rallenta, e anche il suo respiro. Rebecca è arrivata in cima, ora può lasciare andare fatica e tensione. Non vuole tornare a casa, non prima di aver guardato il lago. Attraversa lentamente il prato, si arrampica per qualche metro, ed eccola lì, sul punto più alto. Seduta su quel masso che con gli anni le sembra sempre più piccolo e scomodo. Si lascia scivolare, e si perde nella vastità del suo sguardo. I pensieri scorrono nella testa con la stessa velocità della macchine che attraversano il ponte… e si fanno sempre più piccoli, lontani… anche la città sotto i suoi occhi rallenta. Il tempo le sembra trascorrere piano, ma la sera ha fretta di arrivare. Scende il buio, e quando Rebecca se ne rende conto, la luna è già alta. Prende la sacca e cerca di riscendere dal piccolo pendio. Il prato a valle è una distesa nera, non vede nemmeno dove mette i piedi…. la sola idea di attraversarlo la terrorizza. Ritorna sul masso, affacciato sulle luci della città. Almeno li riesce a vedere cosa ha intorno. Rimane concentrata, cerca di capire quale è la mossa più giusta da fare…ma non ha alternative. Attraversare il sentiero di notte può essere ancora più pericoloso dello stare ferma lì.
Respira….prende quanta più aria riesce… ma non le basta. Il cuore nel petto sembra un cavallo imbizzarrito. Sente caldo, troppo caldo. Ha le mani sudate, la bocca impastata, e non ha nemmeno dell’acqua con sé. Il buio è fitto. Doveva azzardarsi a scendere a valle qualche minuto prima. Doveva provare a percorrere il sentiero a tastoni. “Dio che stupida”. Adesso è bloccata, immobile, inerme. Ora ha freddo. Afferra la sacca e sente qualcosa sfiorarle la mano. La lascia cadere. Scuote il braccio, lo percuote usando l’altro e ci soffia sopra. “Dai Rebecca sarà solo un ragno, un insetto, magari una farfalla”….Con convinzione la riafferra, allarga l’apertura e infila dentro la mano. Sente qualcosa stringerle il braccio, trattenerla. Rimane impigliata. Oddio un serpente. Ha un serpente che si sta avvinghiando al suo braccio, ne è sicura. Lo sente. Sente stringersi l’arto. Urlando lo sfila di fretta e lancia la sacca. Continua a gridare e a sbattere i piedi. Uno le si incastra…quasi inciampa. Vorrebbe scappare ma non sa in che direzione andare. Davanti a sé c’è il burrone. Intorno solo il buio. Cerca di stare ferma. Trema. Ha paura. E ha freddo. Deve prendere la sua felpa. Calpesta la sacca che è sotto di sé con attenzione, sperando di non schiacciare la sua condanna a morte. Cerca di decifrarne il contenuto con la suola degli anfibi: le chiavi di casa, il portafoglio e la felpa. Tremando l’afferra. La tocca centimetro per centimetro, e vi rinfila il braccio. Sfila la felpa. Mentre si copre sbatte violentemente i piedi a terra. Riafferra la sacca, si siede e la mette tra le gambe. “Calmati Rebecca, non ti succederà nulla” .Il silenzio è diventato rumoroso. Il bosco intorno ha preso vita. Sente il respiro degli alberi, con le foglie che sfregano tra loro. Il vento rimbalza da una tronco all’altro, amplificandola sua voce. Percepisce in lontananza un verso…sembra quello di una gallina, o di un rapace…non riesce a distinguerlo…lo sente sempre più forte, più vicino. Forse non è solo uno, sembra alternarsi a quello di altri…sono tanti, e sono lì. Si tappa le orecchie. Inizia a contare a voce alta -uno, due, tre, quattro…-. Le piante intorno si muovono, sente qualcosa scivolare velocemente tra le foglie. Un animale. Un animale selvatico. Inizia a pensare ad ogni bestia di montagna. Orsi, lupi cinghiali. Ancora rumore, qualcosa di veloce le passa di fianco. “Non urlare Rebecca, non urlare”. Forse la sta puntando. O forse sono più bestie che la stanno circondando. Mette la testa tra le gambe. L’odore dell’incenso rimasto sulla sacca la riporta per un attimo nella sua stanza. “Dormi Rebecca, dormi”. Ma la tensione aumenta, la testa è trattenuta tra i gomiti con forza, il collo è piegato. Sente qualcosa di caldo sulla nuca…un respiro….lo sente distintamente….l’animale è dietro di lei. La sta annusando. Forse è un uomo. Le sembra di sentirlo respirarle addosso, ansimare…la paura la paralizza, non riesce a rialzare la testa, la bocca si irrigidisce…”Ti prego allontanati…allontanati……vai viaaaaa.”
Alza la testa, Il burrone è davanti a lei. Vorrebbe saltare pur di non risentire quel respiro sul suo collo, ma il terrore l’ha immobilizzata. Poi si volta. Di scatto. Buio. Solo buio.
Si rigira verso il lago. La città. Le luci. Prende aria. Le fanno male gli occhi. Li ha tenuti troppo stretti. Allenta le braccia, le fa scivolare sull’erba. E’ fredda, umida…cerca di spostarsi sul masso, ma qualcosa le penzola dagli anfibi solleticandole una gamba. Serpenti. Se li immagina piccoli, lunghi e tanti, sbucare dall’erba e arrampicarsi sul suo corpo partendo dai piedi per arrivare fino al collo, fino a soffocarla….le manca di nuovo il fiato. “Respira Rebecca, respira. “. Con l’altra scarpa si tira un calcio per allontanare qualunque cosa possa essere. Si rimette china, con la testa tra le gambe. E’ sfinita. E’ arresa. L’odore del terreno è sempre più forte. Le entra nelle narici…sa di pioggia, di lumache, di bava, di sporco. Si alza di scatto. Guarda di nuovo il lago. La vista è più nitida. Le luci delle case più tenui. Si guarda intorno. Riesce a vedere i cespugli, a distinguerne il contorno. Ora ne vede il colore. Il cielo si sta schiarendo. “Resisti Rebecca, resisti”.

Da Marianna, dedicato a Mirko Crupi

 

VISIONI DI UNA NOTTE
Giorgio se ne sta a passeggio sulla via del ritorno verso casa, dopo essere andato a rivedere le sue scuole medie. E’ sabato pomeriggio, e ha rivisto dalle finestre le sue sale, coi banchi ordinati e puliti dalle bidelle dell’ultimo turno, e gli ultimi appunti sulle lavagne…mentre le luci vanno via, ripensa alla sua classe, ai suoi anni, agli amici che non ha più rivisto, e si perde in queste dolci nenie.

Costeggia la strada senza marciapiede, mentre le auto gli sfrecciano velocissime davanti. Ha il telefono spento e sa che a casa potrà sedersi e mangiare con calma, visto che papà è via quella sera. E gli piace il pensiero di andarsene a casa a mangiarsi le sue bruschette, magari con un cd in sottofondo, sfogliando le foto dell’ultimo libro che ha comprato e che sta divorando…e si mette a correre per arrivare a casetta un po’ prima, visto che manca solo mezzo chilometro.
Ma ad un tratto i fari della strada si fulminano di colpo, e lui si ritrova nel buio più totale, stupito. Si riprende, e attende… ecco che arriva un macchina, ecco, bisogna seguire i fari, correre dietro la macchina…e vede da lontano la luce del camino di casa sua! Eccola oltre il parco! Ora entrando nel boschetto raggiungerà il parco e poi casa sua…e si mette a correre nel bosco…ma stranamente non finisce mai.
Una voce lo chiama “Tesoro, sono qua…mi vedi?”. No, non può essere lei. Non può essere. Quella voce… nasale e bassa…”Vieni qui da me che ti riporto a casa”…è proprio quella voce. Giorgio si gira, ma non c’è nessuno. “Sono qui, puoi toccarmi, puoi abbracciarmi, puoi darmi un bacio”. E’ solo, davanti ad un camino acceso nel bosco che gli mostra come arrivare a casa…ma quella voce lo cattura…”Amore vieni da me ti prego…mi manchi” che fare? “Se non vieni, sarò costretto a farti del male come ho fatto con lei”, tuona un’altra voce mai sentita, gutturale e profonda. “Che cosa le hai fatto?” “L’ho portata via con me, perché non ti amava, e non amava tuo padre, e non voleva stare con voi.” Giorgio si sente impazzire, ribolle di rabbia “Ha sempre saputo che non eri un figlio normale, non ti voleva, e se ne è andata” e allora Giorgio prende tutto il coraggio che ha e urla “Non ti permetterò di dire tutte queste bugie, di farmi del male. Sei solo un’allucinazione, non sei niente!” e corre via trattenendo le lacrime, a denti stretti, verso casa.
Spegne il camino, e va in camera sua. Apre il comodino e cerca quella foto di lei e lui quando era piccolo, intanto che le luci fuori svaniscono per fare entrare la notte…

Mirko

 

PICCOLI BRIVIDI
Villa Veronica 2020
Questo viaggio non finisce mai, maledetto sciopero degli aerei, da milano a salerno invece del freccia rossa mi tocca prendere la freccia bianca, tante fermate inutili che mi fanno perdere tempo, questa stazione poi …villa vittoria ma che razza di paese è? niente case, niente bar..nessuno in vista..ah una persona c’è …il capostazione: senta scusi ma dove siamo gli domando, lui alza lo sguardo verso di me e rabbrividisco, occhi neri capelli bianchi e una vecchia divisa: stia tranquillo qui non passa mai nessuno, si goda la sosta, mi sorride e se ne va verso i binari, e mentre lo fa mi accorgo che… cammina almeno mezzo metro dal suolo, non può essere vero, è un incubo mi giro e mi accorgo che nello scompartimento sono solo, sto sudando freddo.. prendo il cellulare dalla borsa e chiamo il call center delle ferrovie: pronto sono fermo a villa vittoria
E il treno è bloccato in questa stazione potete fare qualcosa: mi risponde una voce femminile che mi dice: mi ripeta per favore il nome della stazione, villa vittoria le ripeto ancora spaventato per prima: ma guardi che questo paese non esiste più da almeno 70 anni, fu bombardato per sbaglio dagli alleati nella seconda guerra mondiale, nessuno sopravvisse, lo so perché i miei nonni abitavano lì vicino, e mi raccontarono storie su questo fatto e noi non abbiamo nessuna sta…la telefonata si interruppe, e nel frattempo vidi dal finestrino altre persone sulla banchina che mi indicavano e che piano si stavo avvicinando al treno, io chiusi a la porta dello scompartimento e pregai…ad un treno finalmente il treno ripartii e vidi finalmente scomparire quella maledetta stazione..riaprii la porta e trovai un biglietto.. lo lessi: CARO VIAGGIATORE, GRAZIE DI ESSERCI VENUTO A TROVARCI IN QUESTO POSTO DIMENTICATO DA TUTTI E DA DIO, QUALCHE VOLTA NOI CERCHIAMO DI RINCONTRARE QUALCHE PERSONA CHE PASSA PER CASO DI QUA, PER NON SENTIRCI SOLI..BUON VIAGGIO
qualche tempo dopo scoprii che il capostazione era il fratello di mio nonno…un piccolo brivido che ancora oggi non ho dimenticato..

Questo piccolo racconto lo dedico a marta… per il prossimo viaggio in treno…..
Carlo

 

STORIA HORROR PER ADULTI
Odio le storie horror. Sono false.
Mostri, fantasmi, spiriti, ombre, rumori.
L’orrore. Cos’è l’orrore?
Il più grande buio è in casa tua. Il più grande buio è dentro di te.
Quando fuori: “E’ una brava persona, una bella famiglia, una famiglia unita”, e dentro il mondo finisce con il confine della tua stanza chiusa a chiave. E tu immobile seduto sul ciglio del letto, fissando il vuoto, navighi nelle acque torbide delle tue interiora, un nodo stretto alla gola che tira verso il basso e taglia il respiro, e le lacrime bagnano gli occhi senza cadere, l’urlo si blocca e soffoca e ti succhia nuovamente giù dello stomaco, contratto, in una spirale d’ansia della quale non vedi la fine.
Sei imperfetto. Non sei come gli altri ti vogliono. Inadatto, inetto, diverso.
Dormi troppo per togliere tempo all’angoscia. Non vorresti dormire per vegliare all’orrore che ti circonda, che non si rompa, che il respiro nell’altra stanza continui ad essere profondo, interrotto solo dalle urla degli incubi, una luce, rumori in bagno, e poi ancora buio. Orrore.
E la mattina l’acqua lava via poca polvere, la sagoma nello specchio è nemico, ti osserva, giudica con occhi uguali ai tuoi, non li guardi. Ricordi l’ultima volta, il nero che li circondava, due pozzi dentro una figura giovane, e la speranza, scomparsa. La voglia, assente.
Le continue domande che sorgono dall’ abisso: “Chi sono? Dove sto andando? A cosa servo? Perché proprio a me?”, e le continue domande di chi incontri per la strada: “Come stai?”. “Bene”. Falso.
Non ti cerca nessuno. Amicizia? Cosa? Quella cosa che fa presenza nel bar solo quando hai il sorriso fissato alla bocca. Falso.
Il lavoro, non il mio, quello sbagliato, e l’altro, non ce la farò mai; la corsa al parco, i pantaloni stretti, sei goffo, mi guardano tutti, ridono. Orrore.
La strada infinita per tornare indietro e ancora l’eco delle risate, rimbombano, lo stomaco stretto e la sensazione di soffocare ancora…
…La porta si chiude. È di nuovo buio.

Noemi, dedicato al mio buio, e alla luce che continua a illuminarlo

 

DA CARLA A Marianna Savà
Cosa c’è di più bello, dopo una giornata faticosa ritornare trà le mura domestiche, che ci proteggono da tutte le insidie che ci circondano?
Marianna è una ragazza con molte doti e qualita’ che la contraddistinguono ma dall’altro verso è molto superstiziosa.
Porta al collo un cornetto rosso, prima di iniziare la giornata, lo strofina e con un gesto scaramantico, gira tutta la casa ripetendo
AGLIO FRAVAGLIO, FATTURA CCà NUN QUAGLIA, CORNO BICORNO CAP’ALICE CAPA D’AGLIO.Vive con Figaro gatto nero, pelo lungo e occhi grandi gialli, che al solo guardarlo incute timore.
E cosi’ esce per incominciare la giornata.Rientrando a casa alla sera, si accorge che Figaro era irriconoscibile,pelo lungo alzato,coda rigida ,occhi che manco le orbite non riuscivano a contenere, emetteva suoni , versi da oltretomba , si avvicinò e con un balzo il gatto gli è addosso.Il sibilo del vento penetrava attraverso le finestre ,tuoni ,fulmini illuminavano la stanza,attraverso il camino pipistrelli di ogni forma e colore,girava per la stanza impaurita, voci che provenivano dal cimitero vicino risuonavano con insistenza, tanti occhi alle finestre di fantasmi del passato.In preda al panico MARIANNA correva correva urlando “corna bicorna aglio fravaglio, figaro, figaro, la paletta schiaccia mosche era diventata una spada che si dimenava sù e giù, sinistra, destra come un cavaliere di RE ARTU’MA ma nulla cambiava. I fantasmi avevano invaso tutta la casa, si avviò di corsa verso l’uscio ,inciampò sullo zerbino ,si trovò in una ragnatela gigantesca a mo di uomo vitruviano, i capelli ritti come gli aculei dei ricci in amore,oltre a figaro era ricoperta da un liquido fosforescente emesso da un grande ragno. Aiutooooo aiutooooo corna bicorna regole e cicoria…..resto’ cosi sino all’alba impietrita, impaurita, infreddolita, il ritmo del suo cuore era talmente forte come un concerto heavy metal.Il sorgere del sole è vicino,Marianna stremata si abbandona in un sonno profondo, tutto intorno si placa, figaro riprende forma, resta impietrito sull’addome di Marianna. Un enorme omone verde si avvicina e con un bacio stampo si risveglia e la riporta alla realtà.
La causa di tutto questo trambusto, sono crocchette comperate in sbaglio alla psilocibina sodica evanescente per una alimentazione naturale, vitaminica per FIGARO …….alla faccia

Carla

 

Da katia dedicato alla mia amica Lucia
Finalmente erano arrivate le tante agognate vacanze anche per lei. Aveva deciso di tornare nel piccolo paesino nel sud dell’Inghilterra dove aveva trascorso tante estati da bambina. Amava la tranquillità e lì sarebbe stato il posto perfetto per dipingere.
Il sabato mattina, di buon ora, era già in viaggio e le mancavano pochi chilometri per giungere sul posto. Aveva appuntamento con una sua amica del posto al bar in piazza.
Era una giornata grigia e piovosa, ma Margo’ non si scoraggiava per così poco.
Arrivata al paesino scaricò subito i bagagli, decise di andare a piedi all’appuntamento.
Il paesino era un incrocio di stradine strette e viuzze tutte in sanpietrini, le case erano molto vicine una all’altra e una macchina ci passava a stento. La giornata era grigia, ma non fredda e una leggera nebbiolina si alzava da terra. Stranamente non c’era in giro anima viva. Le finestre delle case erano tutte serrate anche se Margo’ si sentiva osservata. Una ventata improvvisa gli scompiglio’ i capelli , sul collo senti’ un soffio gelido che gli fece salire un brivido lungo la schiena. Si voltò di scatto, ma c’era solo lei sulla strada. Cercava qualcuno a cui chiedere informazioni, ma il paese sembrava deserto finché nella nebbia riuscì a scorgere poco distante da lei la sagoma di un uomo. Cercò di chiamarlo ma senza successo e più lei si avvicinava più lui si allontanava finché non lo vide sparire in un portone.
Continuò a camminare cercando di orientarsi nella nebbia quando inciampò in qualcosa e finì a terra. Guardò meglio e con stupore si accorse che era un sacchetto con dentro dei vestiti. Ma cosa ci faceva lì a terra? La cosa cominciava a farsi strana. Si rialzò, prese il cellulare per chiamare la sua amica, ma si accorse che lì non c’era campo. Intanto la nebbia si faceva più fitta e la visuale peggiorava. Poi di nuovo quella sensazione di essere osservata, si sentì sfiorare il braccio con un tocco delicato e quando lo toccò sentì qualcosa di appiccicoso. Si guardò la mano, era tutta rossa, sembrava sangue. Spaventata cominciò a correre, ma sentiva dietro di lei passi che la rincorrevano, qualcosa le sfiorò le spalle, ma lei continuava a correre senza voltarsi. Sentì tirarsi i capelli e una mano gelida sul collo ma non si fermò, anzi corse più veloce finché arrivò nella piazza del paese e di corsa si infilò nel bar.
Dentro c’erano poche persone al bancone e vide la sua amica seduta in un angolo.
Corse subito da lei “Oh mio Dio eccoti finalmente. Mi devi aiutare. C’è qualcosa che non va’ la fuori” disse Margo’.
La sua amica si alzò subito in piedi, fece cenno ad altri due di avvicinarsi. Si sedettero al tavolino e si fecero raccontare tutto quello che Margo’ aveva visto.. il cameriere portò il caffè per la povera Margo’ che era agitata, ma quando fu sul punto di berlo si accorse che dentro c’era una bevanda rossa. Sollevò il viso verso gli altri e vide sei occhi rossi come il sangue che la fissavano e sghignazzavano.
La sua amica disse rivolgendosi agli altri:
“Ecco il nostro pranzo come vi avevo promesso. Lei è Margo’ “

Da Katia a Lucia

Facci sapere quale storia ti è piaciuta di più votandola a questo Storie di Paura
Se vuoi partecipare anche tu, dai un’occhiata al gruppo Un Mondo di Parole e inviaci una storia il prossimo weekend a info@tramm.it